“Vorrei precisare che noi non dobbiamo dire la verità per convincere quelli che non la conoscono, ma per difendere quelli che la conoscono”.

William Blake.

Nella bella serata trascorsa a Bologna venerdì 12 Gennaio 2018, ospiti della Libreria Esoterica Ibis del cortese e premuroso Cesare, parlando del tema di cui al titolo, abbiamo potuto verificare diverse circostanze singolari, tra le quali un inaspettato interesse per la Tradizione italico-romana, manifestatosi fin dall’inizio della conferenza, avvenuta in una sala gremita ed attenta.

Conferenza che ha avuto un seguito altrettanto interessante fatto di domande e confronti.

Una di queste “circostanze”, la più importante, è la seguente: esiste un numero incredibile di notizie imprecise, fantasie, invenzioni, mezze verità, riguardo alle vicende che hanno interessato persone e gruppi dediti alla Via Romana agli Dei ed alla sua riemersione visibile.

Al di là dei diversi orientamenti di chi scrive, da una parte piuttosto che dall’altra, va detto che la cosa essenziale e primaria da tutelare è la verita assoluta, quella incontestabile, perchè legata a persone, date, fatti: situazioni oggettive che non possono essere smentite, o peggio, utilizzate per propria convenienza.

Su tutto il resto si può discutere, civilmente, rispettosamente, cercando di capire il punto di vista altrui piuttosto che cercando d’imporre la propria opinione. Modus agendi che io adopero, ricambiato, quando parlo con Giuseppe Caracciolo di Nicastro, Stefano Arcella, Mario Gallo, Daniele Laganà, Igor Colombo, solo per citare alcune persone che hanno idee diverse, lontane o lontanissime dalle mie su questioni religiose, sacre ed affini. Cosa che non ci impedisce di parlare a lungo, per verificare le proprie certezze, certo, ma anche per conoscere un’altra angolatura della percezione delle cose. Con qualcuno dei citati mi confronto da circa trentotto anni, ma mai si è ricorso ad “altro” per rappresentare le nostre idee se non le idee stesse, spesso divergenti; cosa che non ci ha mai impedito di conservare un rapporto rispettoso.

Se non è così con altri, un motivo ci dovrà pur essere… Intelligenti pauca.

Veniamo a noi.

Luca Valentini scrive su Ereticamente una seconda puntata del suo “Gruppo di Ur e Tradizione romana”. Non si capisce perchè non l’abbia, fin dal titolo, dedicato ai Dioscuri, visto che solo di essi si parla. Se non altro, ciò dimostra che il legame sottile che caratterizza queste due “esperienze”, Ur e Dioscuri, è più robusto di quanto lo stesso Valentini affermi in altre sedi.

Numero uno.

Per dimostrare che Julius Evola fu contrario all’iniziativa del Gruppo dei Dioscuri, Valentini scrive ” Lo studioso H.T. Hakl specifica argutamente, infatti, come Evola, in contatto con tale sodalizio (il Gruppo dei Dioscuri n.d.r.) fosse aspramente contrario a derive di tale genere, tanto da affermare in un’intervista proprio per il giornale di Ordine Nuovo quanto segue:

” Io ben mi guarderei dal rimandare, oggi, a quanto scrissi nel libro giovanile Imperialismo pagano in una congiuntura tutta particolare. Non incoraggerei nessun volgare anticattolicesimo o <<paganesimo>> dilettantesco“ (A colloquio con Evola, I testi di Ordine Nuovo, Edizioni di Ar, Padova 2001, p. 124)”.

A questo punto il lettore è portato a credere che, così dicendo, Evola stesse esprimendo la sua contrarietà alla fondazione del Gruppo dei Dioscuri, definendoli “pagani dilettanti”. Ma non è così, e non potrebbe mai essere: l’intervista è del 1964 (cosa che Valentini omette di segnalare), mentre i Dioscuri iniziano a costituirsi nel 1969.

Quando Evola esprime quell’opinione, non ha in mente i Dioscuri, che non esistono nemmeno nella mente di chi li fonderà sei anni più tardi, anche se Valentini, con il suo solito stile, mette insieme le due cose:

“…come Evola, in contatto con tale sodalizio (il Gruppo dei Dioscuri) fosse aspramente contrario a derive di tale genere”.

Questa è una sua specialità: egli sposta a suo piacimento nel tempo i personaggi che servono a supportare i suoi ragionamenti, incluse le loro dichiarazioni. Così, in una conferenza, il Valentini tira fuori dal cilindro Giovanni Colazza che avrebbe trovato Evola morto con accanto il libro di Steiner aperto. Peccato che Colazza, al momento della morte di Evola, fosse a sua volta morto da circa vent’anni. Incapace di resistere a questa sua pulsione, Valentini fa dire ad Evola, con un evidente forma ingannevole, di essere contrario alla iniziativa dei Dioscuri. Ed usa una frase di Evola del 1964 per provare che Evola era contrario alla fondazione di un sodalizio che sarebbe nato sei anni dopo.

Diversamente da quanto prospettato, Evola fu coinvolto dai fondatori del Gruppo dei Dioscuri fin dal primo giorno. Il numero zero dei Fascicoli dei Dioscuri, una bibliografia di indirizzo tradizionale, uscita ancora col simbolo di Ordine Nuovo ma curata dai Dioscuri, fu redatta e sottoposta ad Evola, che corresse la lista dei testi per ultimo, prima che la stessa venisse pubblicata e diffusa. Anche i quattro Fascicoli a firma Gruppo dei Dioscuri furono visionati da Evola e su alcuni di essi, in particolare su Phersu – Maschera del Nume, si discusse a lungo. La familiarità che Franco Mazzi in particolare, ma anche gli altri Dioscuri dei primi giorni, aveva con Evola, fece si che il Barone fosse precisamente e costantemente informato sulla vicenda. Di più: tutte le più importanti decisioni e scelte, venivano discusse in sua presenza, in casa sua, per cui possiamo dire, come è noto a chi conosce precisamente i fatti, che il Gruppo dei Dioscuri fu fondato da evoliani che vivevano a stretto contatto con Evola, e che Evola mai considerò il gruppo dei Gemelli una iniziativa “pagana dilettantesca”, che abbiamo visto essere una sua dichiarazione ben lontana nel tempo rispetto alla fondazione dei Dioscuri. Nel merito, le considerazioni di Julius Evola circa l’opportunità di fondare il sodalizio dioscureo riguardarono altri aspetti, di ben altra natura. Egli più volte ripetè a Mazzi che il compito che egli voleva affidare al nuovo sodalizio era alto, forse troppo alto rispetto alla qualità umana offerta dai tempi. “Ci sono uomini disposti a tutto quello che prevede una via così impegnativa?”: questa, tra tante, fu una delle considerazioni di Evola. “Lei dovrebbe prendere i Dioscuri e portarli in un luogo lontano e solitario per anni, forgiarne il carattere per renderli così capaci di sopportare tutte le rinunce che un compito così ambizioso prevede”: questo era il tenore delle considerazioni di Evola. Che si trattase di un invito o di una posizione scettica, o di tutte e due le cose, non si trattava certo di dubbi su possibili derive “neopagane” che non ci furono mai, nè all’epoca nè successivamente e nemmeno nell’attuale indirizzo dei Dioscuri.

Numero due.

Il nome del Gruppo, dedicato ai Dioscuri, non fu scelto da Placido Procesi, come si afferma, bensì da Franco Mazzi e Paolo Pisaneschi, che furono i primi due fondatori del sodalizio.

Qui, va detto per onestà intellettuale, Valentini viene tratto in inganno da una precedente dichiarazione di Piero Fenili, che in ogni caso è errata, quindi la sostanza non cambia.

Numero tre.

Valentini usa uno schema che, naturalmente, è completamente inadatto per delineare l’azione dei Dioscuri. Egli separa nettamente, ripetiamo, secondo un suo schema, che non è quello di un seguace della Religione dei Padri, le questioni “religiose” da quelle dello “spirito”. Come se la Religione Romana o altre forme sacre indoeuropee non si occupassero anche del secondo aspetto.

Per mostrare che nei Dioscuri questa migliore inclinazione, almeno inizialmente, ci sarebbe stata (quella dello spirito), cita uno scritto che fu realizzato da uno dei Dioscuri di Messina, “la Via Romana agli Dei”, evidenziandone un passo:

“Anche la religione romana conosceva l’esistenza di un Dio Supremo non manifestato e che pertanto non poteva essere nè pregato, nè tanto meno raffigurato e neppure nominato in alcun modo: tale consapevolezza era ovviamente e giustamente dei soli grandi sacerdoti che lo chiamavano “il Dio Sconosciuto” ed è chiaro quanto tale formulazione esprima”.

Apprendiamo quindi che, con grande sorpresa, Valentini pensa che il Dio supremo… non può essere pregato e nemmeno nominato.

Strano, perchè quando gli ricordiamo le evocazioni da egli praticate e diffuse su internet, nelle quali ci si rivolge ad Adonay (Yahweh) dio D’Israele, solo per fare un esempio, Valentini ci risponde che quelle evocazioni non hanno nulla di religioso ed etnico, trattandosi di ambiti esoterici e non religiosi. Il “portato” (così viene definito) di quelle entità sarebbe “primordiale”. Ma se il “portato” è “primordiale”, intendendo con questo che l’entità evocata non è un demone etnico, un etnarca legato ad un popolo (quello ebraico, nel caso di specie), ma il “Dio sconosciuto”, perchè ha un nome? Perchè viene evocato? Perchè viene nominato?

Se viene evocato e nominato, forse “Adonay (Yahweh) dio d’Israele, è semplicemente (sic!) l’etnarca supremo dei figli di Abramo, assurto a dio (meglio demone) unico, geloso e terribile e non il “Dio sconosciuto”.

Piccole contraddizioni o confusione totale? Ovviamente Valentini ed altri similmente orientati, tendono a sottovalutare la questione.

Viene però difficile da credere che un simbolo, un mito, un archetipo o un’entità invisibile ebraica sia l’equipollente di altrettanti aspetti della Tradizione romana, altrimenti rimane inspiegabile il motivo per il quale Reghini ed Armentano proposero di cambiare i riferimenti ebraici all’interno del Rito Filosofico Italiano, riscrivendo gli statuti affinchè nel tempio della loggia dovesse tenersi una copia dei Versi Aurei di Pitagora al posto delle ebraiche Tavole della Legge.

Fu, presumibilmente per questo motivo, che il Reghini, certamente cresciuto in ambiti nei quali era frequente l’uso di formule, simboli, miti, legati al mondo ebraico, ebbe a dire: “Ben lieti di vedere tornati in onore i fasci littori, che veneriamo profondamente, con animo pagano, immune da esotiche infezioni, auspichiamo ad essi favorevoli i fati, in tutto e per tutto, senza submittere fasces (cedere) ad influenze avverse o diverse”. Sembra chiaro.

Ma poi, citare uno scritto (La Via Romana agli Dei) di un membro dei Dioscuri, per criticare i Dioscuri, non è forse contraddittorio? Ancor meno efficace appare tale citazione, alla luce del fatto che l’autore di questo scritto, ritenne di dover vivere la Tradizione romana attraverso le liturgie e le prassi gentilizie che caratterizzano la disciplina privata della Religione dei nostri Padri, alla quale egli dedicò non pochi anni della sua dedizione alla causa tradizionale romana.

Viene da chiedersi: Ma Valentini lo sa chi fu l’autore de “La Via Romana agli Dei”?

La citazione “Senti i Numi risvegliarsi in te. Cosciente di ciò, attendi che il fuoco visibile si spenga, riconducilo in te, nel cuore, e fissa nuovamente tale stato nel silenzio” non è nient’altro che una efficace descrizione dell’interiorizzazione dei Fuochi (Fuochi rituali evidentemente). Tale immagine forte e corrispondente ad uno stato interiore, è ben rappresentata nei Veda ed in altre Tradizioni indoeuropee, e ben descrive il duplice aspetto costituito dall’azione rituale alla quale succede l’interiorizzazione del Rito quale approdo elevato della comprensione del tutto. Rito ed ascesi (o percorso di conoscenza individuale) sono separati soltanto nello schema neo-esoterico di Valentini, non certo nella prassi religiosa (ed anche esoterica) italico -romana. 

Numero quattro.

Volendo sostenere la tesi che una certa deriva “neo-pagana” sia ad un certo punto subentrata all’interno dei Dioscuri, Valentini cita “Phersu – Maschera del Nume, il quarto fascicolo del Gruppo:

Scrive Valentini “Non è casuale, infatti, che nel fascicolo più romano dei 4, Phersu – maschera del Nume, non si accenni a riti, a cerimonie, a preghiere, ma a tecniche di realizzazione spirituale, dopo una doverosa critica alle deviazioni del neospiritualismo moderno, nei seguenti termini”:

(A questo punto cita Phersu) “A che cosa devono mirare dunque inizialmente le tecniche? Fermezza interiore, coerenza nei propositi, distruzione dell’orgoglio che prima di essere grave impedimento è di per sé cosa puerile, equilibrio e quadratura…”. Perchè tutto ciò dovrebbe essere contario alla partecipazione di una attività rituale?

Ora, è bene fare chiarezza. I Dioscuri non hanno mai scritto di riti e nemmeno di pratiche psichiche. Diversamente da quanto affermato da Valentini, non sono “descritte tecniche di realizzazione spirituale”. Una ulteriore inutile falsità facilmente smentibile dalla lettura dei Fascicoli dei Dioscuri.

Essi servirono da orientamento dottrinario, utilizzando poche ma incisive righe per stimolare l’interesse di quella generazione di militanti, in particolare di Ordine Nuovo, verso il mondo della Tradizione declinato secondo precise coordinate. Tutto il resto appartenne sempre al cerchio interno, ed è stato sempre riservato e custodito con la dovuta discrezione a causa della sua stessa natura e funzione. Dispiace sinceramente che Valentini non lo capisca, affidandosi ad uno schema abbastanza orizzontale, essoterico (questo sì, certamente), ovvero: “non è stato scritto quindi non esiste”. Una impostazione del genere contraddice ogni punto saldo di un serio contesto esoterico, ed il capovolgimento di tale principio svela chiaramente la confusione che anima certi scritti messi giù alla men peggio.

La persona che ha scritto in Phersu – Maschera del Nume le parole citate ed apprezzate da Valentini è il fondatore dei Dioscuri, Franco Mazzi, lo stesso che sostenne sempre la centralità del Rito all’interno del percorso dioscureo. Come ciò possa essere percepito in contraddizione con ” la fermezza interiore, coerenza nei propositi, distruzione dell’orgoglio che prima di essere grave impedimento è di per sé cosa puerile, equilibrio e quadratura…” non si capisce affatto.

Che all’interno dei Dioscuri siano sempre esistite le due dimensioni (grossolanamente tenute separate dal Valentini) non è un mistero, apparendo chiaro persino dalla sola lettura dei Fascicoli. Proprio in Phersu – Maschera del Nume, oltre a delle indicazioni generali sulla necessità di “centrarsi” per intraprendere un certo tipo di cammino, si può leggere:

” Coscienti di ciò, un piccolo gruppo di persone accettò il compito arduo, superiore forse alla singole possibilità, ma improcrastinabile, di riaccendere visibilmente il Fuoco di Vesta e di custodirlo in Roma”.

Si vuol far passare anche questo per un esercizio di “catarsi individuale”, una pratica ascetica o qualsiasi altra cosa, oppure è evidente che si decise di dar vita ad una rinnovata azione rituale romanamente orientata?

Numero cinque.

Valentini utilizza uno scritto di Piero Fenili (un ricordo di Franco Mazzi, apparso su Politica Romana) quale fonte essenziale per il suo orientamento e non se ne comprende il motivo. E’ vero che si tratta dell’unico scritto su Franco Mazzi, ma è altrettanto vero che questo documento presenta una serie di vuoti ed incompletezze, dovute al fatto che Fenili e Mazzi presero strade diverse fin dal 1972, a soli due anni dalla fondazione del Gruppo dei Dioscuri, fin lì sodalizio intellettuale e nient’altro.

Piero Fenili, così come Placido Procesi, fece parte dei Dioscuri nel periodo in cui essi si limitarono a dare indicazioni dottrinarie ed orientative, attraverso i primi tre Fascicoli, uno dei quali curato proprio dallo stesso Fenili. Ma, in sostanza, come lo stesso Fenili dichiara, egli non ha mai fatto parte dei Dioscuri in senso operativo, per cui nulla sa di reale e concreto su quanto i Dioscuri abbiano realizzato dal 1972 ad oggi, passando per l’anno 2000 durante il quale morì Franco Mazzi.

Fenili già prima della fondazione dei Dioscuri era parte di un gruppo ermetico-kremmerziano, frequentato insieme a Placido Procesi. Percorso che Mazzi non condivise e che non fece proprio, manifestando precise critiche che furono oggetto di lunga e certamente interessante corrispondenza tra egli e Fenili. Non fu un presunto “neo-paganesimo” dei Dioscuri ad allontanarlo, ma la cifra italica, etrusca e romana dell’indirizzo rituale, psichico, simbolico e mitico dei Dioscuri.

Ancor più semplicemente, Fenili e Procesi si dichiaravano cristiani, cattolici, e questo, tra le altre cose, li rendeva incompatibili con la “totalità” del percorso dioscureo.

Nei quarantanove anni di esistenza dei Dioscuri, parteciparono solo ai primi due anni, l’inizio, durante i quali ci si limitò a scrivere i Fascicoli, per poi solo dopo organizzare il gruppo romano, quello napoletano ed infine il gruppo di Messina.

E’ all’epoca di “Phersu, Maschera del Nume”, che i Dioscuri si costituiscono come gruppo operativo orientato secondo i dettami e principi della Roma prisca. Ma in quel momento Fenili e Procesi erano già fuori e lontani.

Può essere un valido osservatore colui il quale rimase per i soli due anni iniziali, ignorando gli eventi dei successivi quarantasette, per di più assente nel momento decisivo e fondante?

Perchè Valentini non specifica e non sottolinea questi aspetti essenziali nel suo scritto? Mancanza di conoscenza o di convenienza (o tutte e due)? Credo che non lo sapremo mai. Per adesso, e spero per sempre, bastino questi chiarimenti.

Naturalmente, dovesse essere necessario, torneremo sull’argomento.

Francesco Di Marte

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