Queste brevi noti sono un invito alla lettura del “De reditu suo” di Claudio Rutilio Namaziano

“Il ritorno” non è solo un breve poema tardo latino, purtroppo conosciuto solo da pochi studiosi, un’opera di nicchia riservata ai filologi che solo di recente ha conosciuto una piccola diffusione.

Trattasi della descrizione di un viaggio, probabilmente iniziato nel novembre del 415, che è soprattutto un viaggio dell’animo. L’autore, un nobile gallo, probabilmente prefetto di Roma per un certo periodo, è costretto a tornare nei suoi possedimenti della Gallia Narbonese, a causa delle invasioni barbariche che stanno segnando la fine dell’Impero Romano d’Occidente. Durante le tappe del viaggio intrapreso via mare, Rutilio descrive la decadenza dell’impero, ormai infiltrato da numerose popolazioni barbariche. Egli assiste al passaggio tra un mondo di gloria, di cui restavano ruderi e rovine, a quello del cristianesimo, dei monaci, del caos dominante nelle strade e negli animi degli uomini, che avevano perso di vista il Mos Maiorum. Nella nostalgia di un’epoca che fu e in quella dell’Urbe, già provata nel momento dell’addio, c’è l’affresco di una società che cambia e, con essa, gli uomini.

“Non si possono più riconoscere i monumenti dell’epoca trascorsa, immensi spalti ha consunto il tempo vorace. Restano solo tracce fra crolli e rovine di muri, giacciono tetti sepolti in vasti ruderi. Non indigniamoci che i corpi mortali si disgreghino: ecco che possono anche le città morire”.

La morte delle comunità si accompagna al degrado degli animi. I monaci sono descritti come esseri abietti, che rifuggono la luce e vivono nella sporcizia. L’invettiva colpirebbe il cristianesimo in generale, per metonimia, non potendolo attaccare direttamente, in quanto religione di stato. Analogamente, un locandiere giudeo è descritto come inospitale, più vicino alle bestie, che agli uomini per il cibo, costretto da un dio molle a un giorno di riposo forzato ogni sei, che si mutila i genitali e si affida a credenze che neanche i bambini prenderebbero in considerazione.

Nel proemio dedicato alla sua patria d’adozione, Roma è la Luce, madre degli dei e degli uomini, con Venere e Marte come capostipiti. Rutilio che fa ritorno nelle sue terre rappresenta Roma e i suoi dei che si ritirano, per ritornare un giorno, perché

“fecisti patriam diversis gentibus unam” e “urbem fecisti, quod prius orbis erat”.

Marco Silvestri

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