In tutte le culture tradizionali i monti sono considerati luoghi sacri, dimora degli dèi. A nord di Roma, nella terra di confine che un tempo separava le nazionalità etrusca, sa­bina e falisca, un monte solitario svetta nel cielo come un gigante quiescente, il monte Soratte, ancora oggi coperto da una fitta vegetazione. È l’unica montagna che s’innalza sulla bassa valle del Tevere e il suo profilo arcigno può esser scorto da molto lontano. Forse proprio in virtù di queste condizioni particolari gli antichi lo considerarono una montagna sacra, luogo in cui passava l’asse cosmico che congiungeva i tre livelli del mondo: l’infero, il terrestre e il celeste.

Nell’antichità, sulle creste acuminate di quel monte, un misterioso collegio sacerdotale tramandava riti antichissimi, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Erano gli Hirpi Sorani, i Lupi di Sorano, il dio italico che assumeva i tratti apparentemente paradossali di un Apollo infero, una divinità che mostrava simultaneamente un volto uranico e uno tellurico.

I Latini identificavano Pater Soranus, il dio venerato sul monte Soratte, con Dis Pater, il Padre Dite, sovrano dell’Oltretomba. Ma Sorano corrispondeva anche all’etrusco Suri, divinità ctonia che possedeva facoltà oracolari. Proprio in virtù di questo carattere oracolare, Virgilio identificò l’oscuro dio del Soratte col greco Apollo, il lumi­noso signore della profezia. Nell’Eneide è scritto che sul Soratte si svolgevano riti in onore ad Apollo:

“…Apollo

sommo fra tutti gli dèi, custode del santo Soratte,

te che noi veneriamo da sempre, alimentando i tuoi fuochi

con cataste di pino, e, tra le fiamme, fidenti nella nostra

devozione, pestiamo a piedi nudi distese di braci…”

Gli Hirpi Sorani, selvaggi uomini-bestia, ricordano da vicino i germanici berserkir (uomini-orso) e úlfédhnar (uomini-lupo), i terribili guerrieri-bestia che combattevano in uno stato di furore mistico ed erano in­sensibili al dolore. Il mito ci dice che, come i lupi, essi dovevano vivere di rapine e che, durante le cerimonie del Dio, camminavano a piedi nudi sui carboni ardenti senza provare dolore.

Servio ci tramanda il mito dell’origine di questo singolare col­legio sacerdotale:

Il monte Soratte si trova nella terra degli Irpini, presso la via Flaminia. Quando una vol­ta su questo monte fu eseguito un sacrificio al Padre Dite – il monte è infatti consacrato agli Dèi Mani –, subito vennero dei lupi, che rubarono le viscere dal fuoco. I pastori per lungo tempo seguirono i lupi, fino a che giunsero ad una spelonca che emanava un’aria pestilenziale che uccise coloro che stavano lì davanti. Da quando i lupi erano stati in­seguiti la pestilenza si diffuse ovunque. Il dio diede allora il responso che la pestilenza sarebbe stata sedata se si fossero imitati i lupi, cioè vivere di rapine. Dopo che ciò fu fat­to, essi furono chiamati Hirpi Sorani. Infatti i lupi nella lingua dei Sabini sono chiamati hirpi. Sorani, invece, da Dite, infatti presso di loro Dite è chiamato Padre Sorano, come a dire i ‘Lupi del Padre Dite’.

Per errore Servio chiama Irpini gli abitanti della zona del Soratte, quando sappiamo che in realtà gli Irpini erano dei Sanniti che, guidati dal lupo inviato da Marte, avevano colonizzato la zona montuosa dell’Italia meridionale che avrebbe preso il nome di Irpinia. Ma, al di là di questa svista, è importante rilevare quanto Servio riporta alla fine del passo, cioè che nelle lingue sabelliche, le antiche lingue italiche di ceppo diverso da quello latino, hirpus significava lupo. Sappiamo che nelle religioni tradizionali il lupo era una teofania animale di molti dèi: gli Italici lo consideravano teofania di Marte e di Fauno-Luperco, i Greci lo consideravano teofania del solare Apollo (l’Apollo Liceo, cioè “del lupo”), mentre per gli Etruschi era un anima­le infero, essendo legato al loro dio dell’Oltretomba, spesso raffigurato con un berretto di pelle di lupo.

Come nel caso dei Luperci romani, gli Hirpi Sorani formavano un sodalizio di uo­mini preposti all’esecuzione di riti purificatori. Dalle fonti letterarie possiamo dedurre che i Lupi di Sorano erano un vero e proprio Männerbund, cioè un sodalizio di uomini dediti alle attività di guerra e rapina, cui si poteva accedere solo dopo aver superato un rito di iniziazione.

Nell’Eneide è Arrunte, guerriero e sacerdote d’Apollo, a rivolgere la sua preghiera al dio del Soratte prima di uccidere la vergine guerriera Camilla, mentre nelle Guerre Puniche Silio Italico chiama il guerriero Equano “figlio del Soratte” e lo descrive maestoso, cor­pulento, coperto d’armi scintillanti e in grado di accogliere il furore divino.

Gli Hirpi Sorani eseguivano annualmente un rito particolare: dopo aver acceso gran­di fuochi di legna di pino in onore al Dio, spandevano per un’ampia superficie le braci ardenti e, camminando su queste a piedi nudi senza percepire alcun dolore, per tre volte portavano le offerte all’altare di Apollo Sorano. Come nota Strabone, gli Hirpi Sorani erano posseduti dal Dio, che dava loro facoltà di non bruciarsi, inoltre Solino scriveva che essi saltavano (exultant) sulle braci, come se si trattasse di una danza sacra. Un rito analogo, di chiara origine sciamanica, è sopravvissuto fino ai tempi nostri: la danza bulgara della nestinarka, in cui una donna in estasi mistica danza sui braceri ardenti senza percepire dolore. Questo rito cristianizzato è sicuramente il residuo di un rito trace analogo a quello degli Hirpi Sorani.

Tutte queste testimonianze, cioè possessione del dio, furore che dà invulnerabilità e passi di danza sacra, ci fanno ipotizzare che gli Hirpi Sorani, gli uomini-lupo iniziati al culto di Sorano, fossero gli ultimi eredi in terra italica di una spiritualità primordiale e antichissima comu­ne a tutti i popoli del mondo, quella sciamanica.

Andrea Verdecchia.

Bibliografia:

Servio, Commento all’Eneide, XI, 785; Virgilio, Eneide, XI, 784-793; Silio Italico, Le Guerre Puniche, V, 175-185;Strabone, Geografia, V, 2, 9; Plinio, Storia Naturale, VII, 19; Solino, Raccolta delle Cose Memorabili, 2, 26.

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