Liber (italico Luofir) è un antico Dio italico che fu poi identificato con Dioniso; una testimonianza epigrafica del VII sec. aev, proveniente da Falerii [CIE 8079], cita già Luofir (Liber) assieme a Cerere1, associandolo al vino2.
… Ceres far melatom Loufir uinom [ ]rad / Euios Mama Zextos med fifiqo(n)d / Prauuios urnam sociai porded karai / eqo urnela titelafitaidupes / arcentelom huticilom peparai douiad… [CIE 8079]
Il suo nome, secondo Bienveniste (vedi oltre), deriva dal tema indoeuropeo *leudh-, che copre la sfera semantica della crescita e della germinazione, che ha portato anche all’osco Lùvfreis e forse al sabino Loebasius [Serv. Georg. I, 7]; gli autori latini [Varr. Rer. Div. Fr. 264 apud August. C. D. VII, 21; Fr 258 apud August. C. D. VII, 2 – 3], lo correlano alla germinazione: in particolare presiederebbe ai succhi umidi [Varr. Cit.; Ov. Fast. III; 735 – 736] da cui scaturisce la vita, sia nei vegetali, come ad esempio come la linfa che scorre nelle piante, garantendone la crescita, che negli animali. Per questo motivo Liber era associato al seme maschile, mentre Libera alla componente umida femminile, dalla cui unione si genera la vita [August. C. D. IV, 11; VI, 9; 16]. Quest’associazione spiega la predilezione di questo Dio per il miele e la sua presenza nel ciclo della produzione del vino presso i romani. Tutta la vinificazione era primariamente sotto la protezione di Juppiter3, dall’inizio della vendemmia, alla spillatura del nuovo vino è questo Dio che vigila sul processo per garantire che tutto avvenga in maniera conforme alle prescrizioni rituali, tuttavia alla pigiatura si sacrificava a Liber e Libera [Col. Agr. XII, 18 segg]: nel momento in cui l’uva rilasciava il proprio succo e questo intraprendeva la trasformazione da mosto a vino, era Liber a presiedere alle operazioni, per garantire una “nascita” senza difficoltà al nuovo vino; ancora quando era il momento di spostare il mosto dai recipienti di fermentazione a quelli in cui sarebbe diventato vino o mosto dolce, era ancora a Liber che si offriva una libagione (sacrima) [Fest 318]. Considerando che l’offerta di primizie aveva valore di consacrazione, questa notizia è molto importante per comprendere chiaramente l’ambito in cui esplicava l’azione di Liber. La primizia del vino, al termine della fermentazione, era riservata a Juppiter ai Vinalia di Aprilis, il cui aition è chiaramente in relazione con consacrazione di tutto il prodotto nell’anno; il vino è quindi riservato a Juppiter, non a Liber, che non ha parte nella festa di Aprilis. Analizzando le informazioni che ci forniscono gli agronomi romani136, possiamo scoprire che il mosto libato a Liber non andava nei dolia, recipienti per la fermentazione del vino, bensì in anfore sigillate in cui il processo era interrotto, così da ottenere un mosto ancora dolce, è questa bevanda ad essere consacrata a Liber, il succo d’uva solo parzialmente fermentato, che mantiene ancora gran parte delle sue caratteristiche originali. Questo conferma la separazione, rintracciabile nella fase più antica della religione romana, tra la sfera d’azione di Liber, legata ai succhi contenuti nei frutti (e al miele) e quella di Juppiter, collegata al vino, cioè al succo che ha cambiato totalmente la propria sostanza e acquisito una virtus mistica del tutto nuova. Nell’età classica invece il vino viene ritenuto sacro a Liber per via dell’identificazione con Dioniso.
In questo giorno delle vecchie coronate di edera, chiamate sacerdotes liberi, agli angoli delle vie, preparavano delle focacce coperte di miele, liba, che poi sacrificavano a Liber per conto di chi le acquistava (oppure erano sacrificate da chi le acquistava), su foculi che avevano con loro [Varr. L. L. VI, 14; Ov. Fast. III, 733 – 735; 761 – 770]. Si celebravano pubblici banchetti [Tert. Apol. XLII], dei ludi [Ov. Fast. III, 784 – 786; Tert. Spect. V], definiti promiscui in Isidoro [Isid. Orig. XVIII, 16] e le popolazioni delle campagne affluivano in città per assistervi.
In origine la festa di Liber era forse celebrata nelle campagne [Tert. Spect. V] e fu poi trasferita in città. Nelle Georgiche, Virgilio descrive la festa di Bacco – Liber che si svolgeva nelle zone rurali: si rideva e si facevano scherzi grossolani, si indossavano maschere mostruose fatte di cortecce e si appendevano oscilla ai rami degli alberi. Si cantavano antiche canzoni festose in onore del Dio e gli si sacrificavano focacce ed un capro [Verg. Georg. II, 385 – 396]. I riferimenti alle canzoni dei padri deporrebbe per un’alta antichità di questi festeggiamenti.
Da Agostino sappiamo che durante i Liberalia avvenivano anche rituali che avevano per oggetto un simbolo fallico: esso era portato per i campi su di un carretto per propiziarne la fecondità e, quando era riportato in città, si svolgevano rituali licenziosi; in particolare a Lanuvio un intero mese, durante il quale si pronunciavano invocazioni oscene, era consacrato a Liber e, quando il fallo era portato in città, le matrone lo incoronavano per allontanare il malocchio [August. C. D. VII, 21]. Secondo l’autore cristiano, anche a Roma, nel suo tempio, Liber era rappresentato da un fallo, mentre Libera da un organo sessuale femminile. [August. C. D. VI, 9].
Per l’età tardo repubblicana non sono noti ludi in onore di Liber, tuttavia un frammento di un’opera perduta di Nevio lascerebbe intendere che, nel III sec aev, in occasione dei Liberalia, si tenessero dei Ludi Liberales
… liberamente parleremo nei Ludi Liberales… [Nev. CRF pg 29, Fr 88 R; apud Fest. 116]
Questo era anche il giorno in cui tradizionalmente i giovani romani entravano nell’età adulta, deponendo la toga praetexta [Plin. Nat. Hist. XXXIII, 4, 10; Suet. Aug. XCIV; Cic. Pro Arch. III, 5; Phil. II, 18, 44] e assumendo la toga virilis [Cic. Att. VI, 1, 12; Ov. Fast. III, 371 segg] (praetextam ponere [Cic. Lael. X, 33; Sen. Epist. IV, 2]). Questo avveniva quando i maschi avevano compiuto 14 anni [Fest. 230; Sen. Consol. ad Marc. XXI, 4, 1; Gajus. Inst. II, 113; Ulp. fr. XI, 28; Dig. XXVIII, 1, 5; XXVIII, 6, 2; 15; Paul. Sent. III, 4a, 1; Tert. De virg. vel. XI; De Anim XXXVIII; Macr. Sat. VII, 1, 6; In Somn. Scip. I, 6, 71; Auson. Idyl. V, 20; C. Just. V, 60, 3; VI, 22, 4; Isid. Orig. XI, 2, 3] (e le femmine 12 [Dig. XXIII, 2, 4; XXIV, 1, 32, 27; XXVII, 6, 41, 3 – 4; XLII, 5, 17, 1; Cas. Dio. LIV, 16, 7; Plut. Lyc. et Num. Comp. IV; Cic. Ver. II, 1, 113]), tuttavia, poiché la data veniva decisa dal pater familias [Cic. Pro Sext. LXIX; Att. V, 20; VI, 1], poteva variare molto (tra i 12 e i 19 anni, ma solitamente tra i 15 e i 16 anni [Liv. XXII, 57, 9; Hist. Aug. Marc. XIV]), così come la data della cerimonia (almeno in età imperiale)4
Il ragazzo ingenuus (nato da genitori che non erano mai stati schiavi) deponeva davanti ai Lares e ai Penates, o a Hercules, consacrandoli, i simboli dell’infanzia: la toga praetexta e la bulla [Fest. 36; Prop. IV, 6, 131; Schol in Hor. Sat. I, 5, 65; Schol. In Pers. V, 31; Suet. De Gr. XVI; Quint. Decl. CCCXL; Gel. XVIII, 4, 1; Cic. Ver. II, 1, 113; 152; Att. V, 20, 9; VII, 8, 5; IX, 6, 1] (era invece usanza che le femmine compissero un rito in qualche modo analogo: esse deponevano le bambole con cui avevano giocato durante l’infanzia davanti ai Lares [Schol in Hor. Sat. I, 5, 65], o a Venus [Pers. II, 70] e offrivano la bulla a Juno [Schol. In Pers. V, 31]) che veniva poi appesa sopra il focolare domestico [Pers. V, 31].
Al termine del proprio tirocinium, ai giovani dei due sessi veniva rasata una parte dei capelli, come dimostrano le teste di statue votive trovate a Lavinium e studiate da M. Torelli5.
La notte precedente la cerimonia, indossava la tunica recta [Plin. Nat. Hist. VIII, 194; Fest. 277; 286; Suet. Aug. XCIV] (indumento che era dato anche alle giovani prima del matrimonio) e sopra la toga virilis di colore bianco [Cic. Phil. II, 18, 44; Suet. Claud. II; Sen. Epist. IV, 2; Apul. Apol. LXX; LXXIII] (detta anche pura [Catul. LXVIII, 15; Phaedr. X, 9; Cic. Att. V, 20, 9; IX, 17; 19, 1], o libera [Prop. IV, 1, 32; Ov. Fast. III, 777; Trist. IV, 10, 27 segg; Ter. Andr. I, 1, 24]), abbigliamento simbolo dell’età adulta e del passaggio allo status di cittadino e liber; per questo la toga era sacra a Liber e veniva conferita in Suo nome6 [Ov. Fast. III, 771 – 78]. Da questo momento era chiamato vesticeps [Fest. 368; Gel. V, 19, 7; Tert. De Anim. LVI; Auson. Idyl. IV, 73; Apul. Apol. XCVIII] (mentre i ragazzi che non avevano ancora raggiunto la pubertà erano definiti investes [Macr. Sat. III, 8, 7; Apul. Met. V, 28; Apol. XCVIII; Pallad. XI, 14, 16; VIII, 7; Tert. De Anim. LVI; Non. 45; Serv. Aen. VIII, 689].
Dopo aver offerto un sacrificio in casa agli Dei domestici [Tert. De Idol. XVI; Prop. IV, 6, 132], accompagnato dal padre o dal tutore e dagli amici di famiglia [Cic. Pro Mur. XXXIII, 69; App. B. C. IV, 30; Nic. Damasc. Vita Aug. IV; Plut. Brut. XIV; Suet. Claud. II; Plin. Jun. Epist. I, 9, 2], era condotto al Foro (dedutio ad Forum) [Sen. Epist. IV, 2; Mon. Ancyr. III, 3; Suet. Aug. XXVI; Tib. XV; Nero VII] per essere iscritto per la prima volta nelle liste civiche delle tribus (probabilmente tale atto era compiuto nel tabularium del Campidoglio) e ricevere il nome completo [Suet. Aug. XXVI; Tib. XV; Claud. II; Plut. Brut. XIV; App. B. C. IV, 30; Cas. Dio. LV, 22, 4; LVI, 29; Dion. H. IV, 15, 5].
Dopo questi atti, il corteo saliva al Campidoglio per compiere un sacrificio, probabilmente a Juventas [Serv. Ecl. IV, 49; Val. Max. V, 4, 4; App. B. C. IV, 30; Tert. De Idol. XVI; Dion. H. III, 69; IV, 15] o forse a Liber, poiché sappiamo che sul colle capitolino esisteva un’ara con una statua a Lui dedicata. Seguiva una festa in ci la famiglia distribuiva cibo e doni agli amici e, nel caso di quelle più in vista o della famiglia dell’imperatore, al popolo [Tac. Ann. III, 29; Suet. Tib. LIV, Nero VII; Cal. X; Apul. Apol. LXXXVIII; CIL X, 688; Plin. Jun. Epist. X, 116].
Questa cerimonia era il pallido ricordo di un rito di iniziazione che poneva fine alla vita da briganti nelle foreste delle confraternite di giovani del periodo arcaico. Col rientro in città, avveniva il passaggio all’età adulta e l’integrazione nel corpo civico. Non a caso quindi la cerimonia avveniva in Martius, mese dedicato a Mars e in cui erano attivi i salii che possono essere visti anche come i giovani che hanno effettuato il passaggio da briganti a soldati e sono stati appena integrati nei ranghi dell’esercito.
Liber deriva dalla radice indoeuropea *leudh- (probabilmente attraverso il venetico *Louzera, divinità della vegetazione, della crescita e della prosperità). Tale radice si ricollega alla sfera semantica del crescere e dello spuntare, ad esempio riferito ad una pianta che giunge a crescita completa, ma, in molte lingue indoeuropee ha dato origine a termini che indicano popolo, gente, stirpe, ossia riferite all’appartenenza etnica e al possesso dello status di uomo libero (*(e)leudhero-, liber), il che, se da un lato identifica il corpo civico, come comunità che cresce (da una unica matrice) e prospera, dall’altro qualifica l’appartenente a tale corpo, il civis in possesso dello status di uomo libero e cittadino, come membro della medesima stirpe, germoglio della medesema radice7. Un esempio, in ambito italico, è l’umbro Volfion-, il cui nome, derivato da *leudhion-, lo qualifica come ‘divinità del clan’.
Liber è quindi divinità della crescita, intesa non solo in riferimento a piante e animali, ma anche al corpo civico che si accresce attraverso l’integrazione dei giovani, i quali, come germogli scaturiti dalla medesima radice degli altri membri della comunità, giungono a completa maturazione passando dallo stato di juvenis a quello di liber, figlio legittimo – uomo che possiede lo status di uomo libero, ossia cittadino a pieno titolo secondo lo jus quiritum.
Liber, giovane o vecchio barbuto, figlio e padre [Ov. Fast. III, 771 – 78; Met. IV, 18] rappresenta la continuità della comunità civica: i giovani che vi entrano per la prima volta e i loro genitori che li accompagnano: in epoca arcaica, durante questa celebrazione, veniva accertato il raggiungimento della maturità sessuale dei ai giovani (cui rimandano i simboli fallici), ossia del completamento del processo di crescita dell’individuo fino alla pienezza della propria capacità generativa, elemento peculiare della sfera di Liber. Contestualmente essi diventavano atti a portare le armi ed erano così integrati nei ranghi dell’esercito [App. B. C. IV, 30]. Veniva così stabilita la pienezza dal punto di vista biologico, che da quello civico, entrambi domini posti sotto il controllo di Liber.
Corrispettivo dell’ingresso nel corpo civico degli adulti era l’accesso al consumo del vino, prerogativa esclusivamente maschile in epoca arcaica, indice della raggiunta legittimazione a compiere riti sacri, altro elemento posto nella sfera di dominio di Liber.
Maurizio Gallina.
1 G. Dumézil – La Religione Romana Arcaica pgg 331 – 332 e bibliografia ivi
2 C. Watkins – Greece in Italy outside Rome. In Harvard Studies in Classical Philology, Vol. 97, 1995, pgg 35 – 50
3 O. De Cazanove – Jupiter, Liber et le vin latin In: Revue de l’histoire des religions, tome 205 n°3, 1988. pp. 245-265.
4 J. Marquardt – La Vie Privée des Romains 1892 I, pgg 151 – 153
5 M. Torelli – Lavinio e Roma pgg 23 – 31; 71 – 74
6 F. Nocchi – Morte e rinascita simbolica: il cambio d’abito. In S. Botta (ed.) – Abiti, corpi, identità. Atti del Convegno “L’abito sì che fa il monaco”, Firenze 2009, pgg 169 – 202
7 E. Benveniste – Il Vocabolario delle Istituzioni Indoeuropee tomo I, pgg 247 segg.