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VITA OLTRE LA MORTE NELLE RELIGIONI ITALICHE ED ELLENICHE: davvero i “culti orientali” erano “una novità”?

Che le religioni dell’Italia e della Grecia non contemplassero alcuna vita dopo la morte, o soltanto un “Ade scialbo, cupo, uguale per tutti” (come lo Sheol biblico), è un pregiudizio diffuso, dovuto all’estrapolazione decontestualizzata di alcuni passi dell’Odissea, e qualche altra fonte poetica, sempre riportate nei libri di divulgazione, sussidiari scolastici o negli articoli di giornale, senza rifletterci più di tanto.

In realtà, abbiamo molte più fonti, sia greche che romane, che parlano di tutt’altra concezione, pur specificando che né le religioni italiche né quelle elleniche fossero incentrate su di una “ortodossia” e su concezioni dogmatiche sugli Dei e sul mondo.

Platone, Plutarco (sacerdote a Delfi), Virgilio, Pitagora, i Vati Orfici, [o i Druidi della Gallia!] tutti intesi come sacerdoti o saggi delle loro religioni di appartenenza e non come “membri di religioni o correnti a sé stanti” (concetto insensato nella Grecia classica o nella Roma precedente ai Severi), sono perfettamente compatibili e tutte ripropongono lo stesso schema escatologico, che tra le altre cose, troviamo quasi identico a quello della civiltà ‘cugina’, indoeuropea orientale, dell’India.

Gli stessi Misteri greci, come quelli di Eleusi, che non erano “un’altra religione”, ma semplicemente la parte iniziatica e riservata della religione attica pubblica, collimavano tutti su questa concezione: l’ombra si dissolve, come un doppio, nell’Ade, la parte nobile dell’anima, se è stata nutrita da azioni virtuose, sosta nei Campi Elisi, e poi quasi tutti si reincarnano in una nuova esistenza dopo aver dimenticato una buona parte delle esistenze precedenti. Le anime particolarmente eroiche, solari, in un certo senso “scelgono” in quale nuovo ciclo incarnarsi (Eneide, libro VI)

A Roma non c’erano Misteri pubblici (propriamente detti), ma il fatto che i Romani frequentassero a loro volta Eleusi – una eccezione, anche se non l’unica, visto il clima di sospetto che i Romani nutrivano per qualsiasi iniziazione straniera – e che un autore ferrato in religioni romane e italiche come Virgilio dia per scontata questa dottrina, parla abbastanza chiaro.

Quindi, la domanda è questa: se TUTTI i culti, grossomodo, davano per scontata la “sopravvivenza dopo la morte”, un qualche tipo di “ritorno”, e una retribuzione per le azioni compiute, allora perché avrebbero dovuto convertirsi ad altre religioni per “ottenere” quello che “già avevano”?

Tra l’altro, culti come il Mitraismo (romanizzato), i culti isiaci (romanizzati o ellenizzati), facevano parte del vasto insieme di culti stranieri o privati che, diffusi nel mondo ellenistico a partire dal III secolo a.e.c e nel mondo romano, sempre di più, col procedere della fase imperiale, potevano essere praticati da tutti, se non turbavano la salute pubblica, in aggiunta ad altri culti privati ancora e a quello pubblico (se cittadini romani).

Non rappresentavano “una religione diversa”: erano solo “un culto in più”, una adesione privata ad una dottrina e ad un insieme di pratiche, culti e riti, per giunta (neo)misterici, privati e riservati, sovente, a determinate categorie specifiche (ai soli uomini maschi adulti, il Mitraismo, ad esempio).

Se proprio volessimo dare una spiegazione “materialista” e “storicista” alla diffusione di questi culti – evidenziato come nulla, se non al massimo un rapporto più individuale e sentimentale con determinate divinità, apportarono di “nuovo” alla religiosità antica occidentale… ma anche su questo non abbiamo prove! -potremmo pensare che questi fornissero tutta una serie di valori e pratiche adatte a nuovi contesti molto specifici, come il Mitraismo romanizzato nei contesti militari “multiculturali” e lontani dall’Italia. Oppure, potremmo persino osare supporre che entrare in queste cerchie di culto privato, altamente gerarchiche e spesso segrete – come oggi l’adesione ad altro tipo di associazioni, iniziatiche o para-iniziatiche, come la Massoneria – comportasse qualche vantaggio in quegli ambienti dove quel culto fosse diffuso maggiormente. Questo potrebbe essere il caso del Mitraismo romanizzato in alcune legioni romane, dove l’adesione dei comandanti potrebbe aver incoraggiato ad una maggior diffusione del culto trai commilitoni… sempre in aggiunta ad altri culti privati e al rispetto del Culto Pubblico Romano.

Per quanto riguarda il Cristianesimo, inizialmente nulla di più di una galassia frammentata di eresie ebraiche a cui aderivano anche alcuni non-ebrei, a questo punto, cosa dovremmo pensare? Che si sia diffuso grandemente soltanto dopo i favoritismi fiscali e politici dei costantinidi e le repressioni sanguinarie dei teodosidi?

Di certo, non per la promessa del “paradiso” (parola persiana e non ebraica, significante “giardino recintato”)!

E a proposito di Giardino, erano ben conosciuti, dai Poeti e dai fedeli delle vie tradizionali, i Giardini di Persefone, dove vi è ben poco da rattristarsi temendo di aver smarrito la Luce, poiché vi splendono “altre stelle, altri mondi, e vedrai una luce più pura, e più stupirai a vedere il sole Elisio e i pii abitanti; là c’è una vita migliore, vi abita la Stirpe dell’Oro e possediamo per sempre quello che fu meritato una volta. Non ti mancheranno neppure i morbidi prati: tra più dolci Zefiri esalano fiori perpetui, che neanche la tua Etna produce. In un bosco oscuro c’è un ricchissimo albero, che curva i fulgidi rami di verde metallo: ti sarà consacrato, e possederai il fertile autunno e sarai sempre ricca di rossi pomi”. (Claudiano, Del Rapimento di Persefone)

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