E’ ferma convinzione di chi scrive, in concordia con l’indirizzo della rivista Perennitas, che la tradizione romano-italica non possa essere affrontata, praticata o anche soltanto studiata avvalendosi esclusivamente di strumenti di tipo materialistico, quali i pur importantissimi studi storico-archeologici, la linguistica, la genetica e la filologia. Allo stesso modo, non si può ricondurre la via spirituale dei nostri Avi della Saturnia Tellus a un insieme di pratiche folcloristiche, superstiziose; in altre parole, non si può ignorarne un nucleo spirituale consistente, di natura trascendente, che va inquadrato in una dimensione che non riguarda soltanto la Storia o il mondo della semplice devozione religiosa.
Come si può evincere dal nome stesso di questa testata, la chiave con cui guardiamo all’eredità spirituale degli italiani è quella della “Sophia Perennis” e degli Studi Tradizionali, veicolati nella nostra contemporaneità dalle opere di Evola e di Guenon; “Tradizione” è, per chi scrive e per la redazione di Perennitas, un corpus di insegnamenti che permettono la sacralizzazione integrale dell’Uomo e del suo Mondo in ogni suo aspetto esistenziale.

Abbiamo operato scelte differenti e diversamente orientate rispetto a Guènon, privilegiando, nel pensiero evoliano, quella parte che in seguito favorì le analisi contenute nei fascicoli del Gruppo dei Dioscuri: un orientamento comune a quello di tante organizzazioni che oggi vivono con intensità e dedizione la Via Romana agli Dei.

Per questo motivo non riteniamo che le singole tradizioni siano equivalenti tra loro, interscambiabili o peggio ancora che esse possano essere vittima dei tentativi sincretici di chicchessia.
Ogni ‘tradizione’ è “La Tradizione” per coloro le cui anime sono state chiamate a un determinato Fato sottile. Ogni Tradizione, per essere tale e non un insieme di credenze, usi e costumi, è autosufficiente e bastevole a sé stessa: contiene al suo interno tutti gli insegnamenti per l’irruzione del divino nella vita dell’Uomo e nel suo Mondo, declinati secondo differenze che hanno origini nel mondo delle Cause, prima ancora che nel determinismo storico-geografico.

Qui non vogliamo negare che le tradizioni possano dialogare e talvolta influenzarsi l’una con l’altra, con fenomeni che possono andare da un deleterio sincretismo formale, decadente, a un vero e proprio matrimonio sottile, che avviene su altri piani diversi da quello storico-animalesco, come fu il caso dell’innesto fertile dell’Ente romano sulla precedente spiritualità Italico-Tirrenica o Ellenica.

Perché dunque, per un Italico che si riconosca nella tradizione dei suoi Padri, al di là di una certa legittima curiosità di tipo culturale e nozionistico, voler cercare pratiche spirituali, realizzazioni e iniziazioni presso tradizioni altre? Perché tutt’ora, dopo il palesarsi storico ed evidente di una avvenuta rinascita dei Fuochi Sacri in Italia e nell’Occidente europeo, vie spurie, oscure, sincretiche, retaggio dei lunghi secoli della persecuzione e dell’ignoranza, ancora così tanto affascinano e seducono proprio coloro i quali dovrebbero piuttosto gioire dell’avvenuto ritorno della Luce e della chiarezza romana e indo-europea nei cieli d’Europa?
Esistono comunità di culto, famiglie e individui, all’interno del variegato mondo di chi afferma di rifarsi alla religiosità romano-italica che, pur posizionandosi su diversi livelli interpretativi e conoscitivi, si riconoscono interamente in quanto espresso sopra. Per costoro la Romanità, e l’italicità, sono “La Tradizione” di riferimento. Lungi dall’essere fanatici e superstiziosi, gli Italici di oggi sono aperti verso il mondo e verso le altre tradizioni, siano esse i vicini Fuochi dei popoli europei, siano le tradizioni fiorenti e luminose dell’India, del Giappone, della Siberia o dei Pellerossa nativi americani.

Esistono, però, allo stesso tempo, fascinazioni di natura ben diversa: c’è invece chi guarda al mondo fumoso dell’occultismo, o chi quantomeno si ritiene in un qualche modo vicino, umanamente e spiritualmente, alla vasta galassia dei “ricercatori spirituali”, quelli che pretendono possa esistere un percorso esoterico totalmente avulso da una specifica Tradizione Patria.

Vediamo, dunque nei decenni, tra i gruppi umani e le pubblicazioni, vicinanze e ricerche di riscontro con il mondo massonico, sia esso di frangia o regolare; vediamo infiltrazioni del pensiero teosofico e antroposofico, dello steinerismo; vediamo infine un avvicendarsi decennale di gruppi e personaggi afferenti al mondo myriamico-kremmerziano (neo-ermetico di scuola egizio-caldea napoletana) ai margini e alle estreme periferie dell’interesse verso la Tradizione Romano-Italica.

Per i lettori digiuni di vicende occultistiche -cosa perfettamente accettabile presso chi si interessa prevalentemente di vie italiche e arye al Sacro- forniamo un breve ripasso. La corrente a cui ci stiamo riferendo ha alla sua base una vera o presunta trasmissione di pratiche di tipo egizio-ellenistiche e mesopotamiche attraverso una linea sapienziale che sarebbe sopravvissuta a Napoli, attraverso la presenza di un nucleo alessandrino, e poi riemersa molti secoli dopo sotto varie forme (principalmente inerenti alla massoneria di rito egizio e al martinismo) e poi rielaborata nella scuola esoterica di Ciro Formisano, in arte Giuliano Kremmerz, medico e occultista. Un complesso sistema di pratiche eterodosse, quasi tutte ormai di dominio pubblico e rintracciabili facilmente su internet e in libreria, dove si incrociano influenze di ogni tipo: dalla filosofia greca ad un Egitto un po’ reale e un po’ romantico, dalla Mesopotamia alla Persia, con un elemento unificante scaturito dal mondo dell’occultismo medievale e rinascimentale, vale a dire la cosiddetta Kabbalah “cristiana”, così definita in quanto praticata da esoteristi non di sangue e cultura ebraica.

Senza voler qui questionare sull’esistenza o meno di elementi di continuità tra i sincretismi alessandrini della tarda antichità e questi nuovi esoterismi della fine del diciannovesimo secolo, elenchiamo alcuni importanti fattori che ci aiutano a sviscerare la lontananza tra queste forme di neo-ermetismo e la riemersione della Tradizione romano-italica. In primo luogo, la scuola ermetica italiana, alla quale si rifà il mondo myriamico-kremmerziano, riemerge nella visibilità in assoluta contemporaneità ad altri filoni europei, come il martinismo francese e la Golden Dawn inglese, filoni che in modo palese ed evidente nulla hanno a che spartire con la riemersione nel visibile dei Fuochi Sacri dell’occidente.

Si tratta infatti di vie, l’una pratico-evocatoria, l’altra più di ordinamento teorico, quasi integralmente di tipo cabalistico. I nomi degli Enti di riferimento sono quasi tutti afferenti alla lingua e alla tradizione ebraica, o a sue rielaborazioni ad opera di cristiani sincretici e occultisti di varia natura. Quando questo approccio tentasse di rivolgersi a piani superiori a quello sub-lunare degli spiriti elementali e naturali, le chiavi d’accesso sono tutte legate ai nomi dell’entità volgarmente conosciuta come Geova, e ai settantadue angeli, e demoni, della sua corte e della sua cosmogonia di riferimento.

La distinzione e diversità profonda tra Via romana agli Dei e questo mondo apparrebbe incontestabile, eppure Ereticamente, una rivista online fondata dall’amico Steno Lamonica sotto gli auspici della paganitas greca e romana (oggi ha preso un indirizzo diverso da quando il suo principale fondatore e animatore ha abbandonato la redazione lasciandola ad altri), sta tentando un incomprensibile fusione di mondi che, oltre ad essere alternativi, sono nemici e contrapposti. Alcuni tra i collaboratori di Ereticamente, oltre ad un’opera scientifica e sistematica di diffamazione e di calunnia verso chi si riconosce in una romanità prisca, pura, non contaminata da elementi sincretico-occultistici, si dedicano da anni ad una divulgazione di taglio giornalistico e semplicistico, nel quale non si esprimono orientamenti diversi tra loro, cosa legittima ed anche utile, ma si cerca la fusione e la contiguità tra piani incompatibili (l’occultismo non è la Tradizione), tentando di tenere insieme quanto, per natura, è invece ben distinto e differente.

Le stesse persone, come se questo fosse possibile, si dedicano alla romanità tramite articoli, pagine e addirittura fantomatici gruppi di studio, mentre allo stesso tempo vengono divulgati e proposti come vie equivalenti, anzi, di natura superiore al Mos Maiorum, pratiche di tipo steineriano e kremmerziano: anche qui tramite pagine, siti, articoli e gruppi, i cui legami con la rivista e con quegli stessi gruppi umani sono ben evidenti e non nascosti da queste persone.

Non si tratta di un segreto, non è un pettegolezzo: “I Riti di Kremmerz”, un sito contenente ritualità del Formisano, dove Salmi biblici, divintà mesopotamiche, nomi egiziani ed ebraici, sono tutti parte di un unicum indissolubile, è curato sempre da quel Luca Valentini che si propone da anni come il censore e il giudice della tradizione italico-romana… pur non praticandola e pur affermando che chi la praticasse in forma pura altro non farebbe che attirare su di sé larve e influssi diabolici!

Inoltre, personalità ben conosciute dell’ambiente ermetico-kremmerziano, come Fenili, Pierini e lo stesso Valentini, vengono ringraziati pubblicamente in occasione di momenti di divulgazione connessi con la tradizione romano-italica e con il suo calendario. Persone interessate alla romanità che incappino in pagine virtuali, alla fatidica domanda di come trovare un riscontro pratico, spirituale e religioso, delle proprie idee, si vedono dirottate verso la pratica dei cinque esercizi propedeutici della via antroposofica di Steiner, esoterista che dichiarò sempre come centrale e irrinunciabile la figura del Cristo, il mistero del Golgota, ecc.

Associazioni che si rifanno ad una romanità integrale, pura, vengono messe sullo stesso piano di queste vie altre e divergenti. Bizzarro come associazioni che dichiarano una pura appartenenza alle forme della tradizione avita possano accettare una simile vicinanza: se per caso costoro si sentissero così superiori dal chiudere un occhio sui deleteri risvolti etici e morali di queste persone, cosa che per altro non perdonano a nessun altro si azzardi a criticarli, quantomeno si insospettiscano per una costante delegittimazione della propria religione da parte dei loro “amici” kremmerziani, seguaci di ben altri lidi!

Ma siamo sicuri che questa separazione irriducibile sia da questi percepita e messa in pratica? Siamo sicuri che costoro abbiano gli strumenti per poter comprendere, come per altro ha dichiarato il kremmerziano Piero Fenili, che la pratica della tradizione romana è “incompatibile con la via kremmerziana”? Allora, quali sono le ragioni per cui personaggi e organizzazioni del mondo ermetico-kremmerziano, dell’occultismo e del milieu teosofico-antroposofico (tutto ciò che Evola definiva come “neospiritualismo”), cercano e sbandierano questa vicinanza con il mondo romano-italico?Perché vengono scritti articoli e vengono organizzati convegni ambigui, che porterebbero a far pensare che lo sbocco pratico della spiritualità romana siano gli esercizi del cristiano Steiner o le evocazioni aramaiche, egizie ed ebraiche del mago Kremmerz, che evocano Adonay ed il Dio d’Israele?

Non vogliamo essere fraintesi: noi amiamo la verità e la purezza di intenti, ma non ci riteniamo degli esclusivisti. Ne è prova la vasta diramazione umana, a volte conflittuale, che è scaturita dalla riemersione storica del Fuoco Sacro dei Romano-Italici. Non riteniamo che non possano esistere altri approcci al Sacro, non riteniamo che l’appartenenza a cenacoli ermetici e che la pratica di vie spurie e sincretiche equivalga per forza a una carenza umana di tipo ideale, morale o spirituale.

Noi pretendiamo, però, chiarezza di intenti, coraggio e pulizia nelle proprie azioni. Siamo perfettamente consapevoli del fatto che il percorso di riemersione carsica della nostra Tradizione si sia talvolta incrociato, sul piano delle conoscenze umane, delle esperienze politiche e delle frequentazioni amicali, con personaggi che hanno praticato tali vie, ed altre vie da noi reputate spurie, quali ad esempio la Massoneria. Siamo sicuri che tra queste persone vi siano stati sinceri patrioti, persone generose, intelligenti, leali, amanti della romanità e dell’Italia da un punto di vista culturale e dell’amor patrio. Eppure, è nostra certezza che, storicamente, almeno a partire dall’esperienza del Gruppo dei Dioscuri, se non prima, attraverso il gruppo operativo di Ur, i cammini della riemersione della tradizione italica e i languori della cosiddetta “tradizione occidentale” si siano finalmente e definitivamente separati.

Una separazione che, nel caso del Gruppo dei Dioscuri, al “riaccendersi visibile del Fuoco di Vesta” corrispose anche all’allontanamento fisico e ideale di Piero Fenili e Placido Procesi, frequentatori del cenacolo di Evola dal quale germinò il gruppo dedicato ai gemelli.

Essi (Fenili e Procesi) scartarono l’ipotesi di aderire all’azione finalizzata alla riemersione rituale romano-italica, dedicandosi al proprio percorso ermetico-kremmerziano.

Le due vie, evidentemente, non sono compatibili, per non pochi motivi. Non lo erano all’epoca, non lo sono oggi e non lo potranno mai diventare in futuro. Una cosa è il Pantheon romano, gli Dei della Tradizione indoeuropea ed italica, altro la coorte di Geova-Yahweh-Adonay-Dio d’Israele.

Chi oggi cerca pratiche, significati, spiegazioni, famigerate ritualità fumose rintracciate nei cassetti di qualche “ricercatore”, non pone il suo centro in Roma immortale e perpetuamente rinnovata, ma in Alessandria ed Antiochia, se non in Gerusalemme, nella ricerca spasmodica e un po’ angosciata che guidava il formicolare di sempre nuove forme spirituali spurie e sincretiche. Un mondo crepuscolare che investì prima il tramonto della Grecia e in seguito funestò i secoli finali della Roma storica, contribuendo ad aggravarne l’eclissi spirituale e politica. L’angoscia verso la morte, la ricerca di complessità e barocchismi rituali ridondanti, l’eccessivo indulgere nel demonismo e nel mondo delle immagini, sono molto distanti dalla spiritualità prisca di Roma, e sono distanti da ogni manifestazione originariamente indoeuropea ed europea del sacro.
Questo buio, questo dubbio angosciante, questa ossessione legata alla morte e alla dissoluzione del corpo fisico e animico, tipica di queste vie, questo insistere sulla natura slegata dell’esoterista e del presunto iniziato dalla sua Patria e dai suoi Antenati, non a caso finiscono per confluire, in questi tempi ultimi, in una sorta di Grande Rito della Disperazione, la liturgia unificante del sincretismo neo-esoterista.

Non ci stupisce affatto che alla fine del tunnel compaiano sempre, come ancora di presunta salvezza, forme tipiche dell’abramitismo: evocazioni di demoni cabalistici, salmi dedicati a Geova, oppure il Cristo new age di Steiner.

Non le forme del cattolicesimo a cui siamo abituati, e che costituiscono in ogni caso parte della cultura, dell’arte e della storia d’Europa, con Santi e Madonne, messe a suffragio dei defunti della famiglia, sagre e momenti comunitari, comunque ordinatori di una morale e di una pratica liturgica che riguarda ogni aspetto della vita (condivisibile o meno), ma un buio mondo larvale e solitario, dove nulla è certo e dove nulla colma l’abisso tra piccoli uomini schiacciati e un Dio lontano, astratto e matematico.

Le Tradizioni, e la nostra tra le altre, sono qualcosa di diverso rispetto all’Antitradizione ed a forme di espressione di un sovramondo oscuro. Un demone desertico non è una Divinità celeste, Geova e Giove non sono evidentemente la stessa cosa, e dedicarsi al culto di questi demoni, direttamente o indirettamente, significa porsi in antitesi rispetto al Nume di Roma ed al destino dell’Urbe Eterna.

Come possa sfuggire questa prospettiva a chi dichiara di voler seguire il Mos Maiorum; come si possa essere contigui, vicini, alleati di chi prega e si sottomette al Dio d’Israele, appare misterioso ed inquietante. Tutto questo mondo sincretico, che vede le diverse vie porre al proprio centro una essenza abramitica e monolatrica non definibile “tradizionale”, non annoverabile, in nessuna delle sue forme, come espressione della Tradizione unica, possiamo definirlo a giusta ragione “satanico e diabolico” in quanto espressione di quel sovramondo abramitico-eretico distorto.

Come è possibile che non si comprenda l’esenza contaminante di un contatto con chi si rivolge alle forze invisibili che agiscono al servizio dell’Ente nemico di Roma?

Quel mondo di tombe e demonismo che più volte rischiò di spegnere la luce degli Arya, di Roma e di tutti i popoli liberi della terra. Il mondo oscuro che gli uomini d’onore combattono, al cospetto degli Dei, assieme agli spiriti buoni e ordinati del mondo sottile. A fianco a fianco con i patrii Antenati, le cui fiamme riecheggiano in quelle dei focolari domestici, dimora dei prischi Lari, nemici spietati di ogni larva e di ogni parassita del mondo astrale e fisico.

Federico Fregni

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