Attualità

Legittimità ed etica nella rinascita tradizionale romana.

 

Il seguente scritto potrebbe essere ben rappresentato dal titolo “Lettera aperta a Giuseppe Barbera”. Il suo articolo apparso di recente su “Ereticamente” merita una attenta lettura, che nel mio caso è stata foriera di alcune considerazioni che qui rivolgo a Giuseppe ed alla sua comunità.

Preciso, preliminarmente, che non conosco i particolari di alcune vicende narrate nel testo, riferite ad altre associazioni, per cui nulla potrei dire in ordine alle stesse, e, preciso ulteriormente, non è per queste vicende a me sconosciute che intendo aggiungere le mie osservazioni a quelle da poco apparse su “Ereticamente”. Aggiungo inoltre che i miei rapporti personali con Giuseppe Barbera, la sua famiglia, la sua comunità ed associazione, sono SEMPRE stati caratterizzati da reciproca cordialità, gentile ospitalità, rispetto. Per cui, sia gli accenni di condivisione che quelli di critica, contenuti nella mia analisi, vanno inquadrati non certo in una vicenda di tipo personale, che mi ha sempre visto piacevolmente in compagnia di Barbera, senza che mai emergesse il benchè minimo contrasto o dissidio, ma in un contesto riguardante esclusivamente le idee, vissute in una dimensione che prescinde dalle persone e che si afferma SOLO in quel che sinceramente si crede e si cerca di affermare. Buona parte, o forse tutto il mio pensiero, è già noto a Giuseppe Barbera, e viene qui riepilogato sperando che possa servire ad una franca discussione.
Nulla di personale, potremmo riassumere, nel bene e nel male.

Quando Giuseppe Barbera afferma che la costituzione di un Tempio, nel caso di specie dedicato a Giove, non può basarsi su null’altro che sulla volontà, sull’intento, sulla determinazione di chi si ritiene in diritto di farlo (per tutta una serie di presupposti), ebbene Barbera ha perfettamente ragione. Gli uomini, nell’incontro col divino, sublimano e portano a compimento la vita terrena. Per certi versi, oltre che una necessità dell’anima, l’onoranza degli Dei ed il Rito quale strumento di connessione col mondo invisibile eppur reale, sono dei doveri che l’uomo retto compie per sè, per i propri antenati e per i propri figli. Così pensavano i romani antichi, gli italici e tutti i popoli della terra, prima che alcune forme di deviazione psichica di ordine laico e profano si affermassero per contraddire questo principio. Per cui, considerando l’attuale condizione generale di uomini ed istituzioni varie, non credo che esista, in linea di principio, una autorità legittimata ad autorizzare Barbera ed i suoi sodali alla fondazione di un luogo sacro, destinato all’onoranza degli Dei. Gli unici aventi diritto a questa legittimazione sono proprio Barbera e tutti coloro i quali intendono dedicarsi a questa iniziativa. Sono essi stessi, se portatori dei principi necessari, a conferire legittimità e piena validità al loro intento ed alla relativa realizzazione pratica.

Le considerazioni riguardanti il miglior luogo e le migliori condizioni per erigere un Tempio hanno anch’esse un valore, ma reputo che esso sia secondario rispetto all’intento ed alla volontà di realizzare l’opera in sè.

In questo senso, Barbera rivendica giustamente la legittimità del proprio atto, da ritenersi valido nella misura in cui in esso confluiscono il retto orientamento, la buona fede, la dedizione, la mancanza di elementi contaminanti ed estranei alla tradizione romana, l’assenza di personalismi ed egocentrismi. E’ l’animo puro, unito alla conoscenza della materia religiosa e della struttura essenziale, sottile, profonda, del Rito, che rende legittima la costituzione della casa degli Dei. Ed è questo l’iter antico, oltre che attuale, attraverso il quale si afferma il Sacro. E’ dai Fuochi privati, familiari, che nasce la dimensione statale. E’ dalla cessione di sovranità sacrale familiare e tribale che nasce lo Stato romano, il principio che afferma l’unione sociale sotto le insegne della Pax Deorum, così come la Storia di Roma e, segnatamente, la costituzione del Tempio di Vesta, ci insegnano.

Per questo motivo ritengo accessorio, secondario e di nessuna valenza profonda, il riferimento che Giuseppe Barbera fa in ordine ad una serie di aspetti legali che, vista la materia trattata, appaiono assolutamente marginali ed ininfluenti. Dal mio punto di vista, Barbera si contraddice perchè, se da un lato rivendica legittimamente un sacrosanto diritto, dall’altro lo subordina a delle procedure laiche, proiezioni di un potere politico profano che non ha nulla in comune con l’idea romana e sacra di Stato. Se oggi in Italia esiste uno Stato, esso è appannaggio di coloro i quali, anche occultamente, ne rappresentano i fondamenti essenziali, legati al Fas ed allo Ius. Lo Stato è volontà divina ed umana, è espressione “ab imis” di una sostanza che è spirituale e solo successivamente temporale. Se uno Stato oggi esiste in Italia, e non è questa la sede per affermarlo o confutarlo, ebbene questo non è la repubblichetta vigente, la peggiocrazia.

Adottare la parola Stato, in particolare in questo momento storico, per una istituzione coloniale, una oligarchia di servi e traditori della Patria, che abusivamente occupano le stanze dei poteri temporali, su mandato di tecnocrazie usurocratiche internazionali, appare profondamente anti-romano, atteso che “lo Stato” per i romani era altro, ben altro, da non confondersi con qualsiasi associazione di traditori della Patria al servizio di poteri sovranazionali nemici dell’Italia, della sua Storia e dei suoi Numi.

Quando si afferma che “Nell’attuale stato Italiano Pietas è l’unica associazione ad avere eseguito riti religiosi romani con consenso amministrativo nei comuni dove li ha svolti, da Chiaravalle Centrale a Roma: (abbiamo le carte), a volte dietro richiesta delle stesse amministrazioni locali: gli altri operano senza regolari permessi…”, oppure che ” per qualunque religione è doveroso tenere a riferimento le leggi attualmente vigenti”, o ancora “Nell’attuale stato Italiano Pietas è un’associazione regolarmente registrata, tante altre che vogliono occuparsi di tradizione romana non sono registrate e vivono nell’illegalià, non rendendosi conto che violano un precetto romano”. si capovolge il principio generale, facendo una grave affermazione, che corrisponde a degli scenari inadatti a rappresentare la continuità sacrale romana nei secoli, abbassando la questione religiosa e spirituale fino a farla diventare materia di autorizzazioni, carte bollate, permessi e conseguenti riconoscimenti.

Tutto ciò potrebbe appartenere (possibilmente ma non necessariamente) ad una dimensione culturale, legata a conferenze, riviste, ed altre forme pubbliche divulgative delle idee di sacralità romana, di visione del mondo ario-italica, ma chiedere l’autorizzazione per celebrare un rito “in pubblico” appare cosa bizzarra che porta quella celebrazione ad essere qualcosa di diverso da un Rito in senso romano. Firmarsi: “Giuseppe Barbera, legalmente presidente della regolarmente e legalmente registrata Associazione Tradizionale Pietas” appare inutile riguardo alla sostanza Sacra. Se Giuseppe Barbera è la guida di Pietas e come tale viene riconosciuto dai suoi sodali, dal mio punto di vista si è già legittimati e pertanto basta firmarsi col proprio nome senza aggiungere altro.

Se si intende celebrare una cerimonia in pubblico, ed è necessaria una autorizzazione comunale per occupare il suolo, questo non significa che quell’atto è sacralmente legittimato dalla richiesta fatta al Comune o alla Forestale. La legittimità di un rito è data dalla qualificazione interiore del celebrante, dalla sua dignità sacerdotale, dalla consapevolezza dei partecipanti, non certo da una domanda in carta bollata con tanto di timbri e firme.

Questa ricerca della legittimità in un ambito autorizzativo, legale, peraltro ricercato attraverso il contatto con una pseudo-istituzione (essa si illegittima ed illegale) per me è incomprensibile. Chiese forse il Gruppo di Ur autorizzazione ad esistere? Chiesero i Fratres Lucis permessi o altro? Certo, se il Gruppo di Ur decise di stampare una rivista, logicamente chiese le autorizzazioni necessarie. Ma una cosa è il Sacro altro è l’attività culturale. Tra di esse passa esattamente la differenza che vi fu tra il “Gruppo di Ur” e la rivista “Ur”.

Altrettanto incomprensibile appare un altro aspetto emerso nello scritto di Giuseppe Barbera. Egli scrive “Essi criticano perchè sono inetti a comprendere i misteri: infatti i più grandi iniziati d’Italia stimano noi, i medesimi che non hanno dato riconoscimento a loro”. Questa ulteriore forma di legittimità, che ricorda una vecchia formula utilizzata per l’avallo di titoli (per conoscenza e garanzia), ricorre spesso negli scritti di Barbera. Credo possa essere utile approfondire l’argomento. “I più grandi iniziati italiani”, come precedentemente comunicatoci da Barbera, lo avrebbero “riconosciuto”, cosa che non avrebbero fatto con altri. Preciso che non saprei chi possano essere coloro i quali hanno chiesto a codesti più grandi iniziati d’Italia un riconoscimento, peraltro non accordato. Sono però a conoscenza del meccanismo, non giovane, che da decenni alcuni personaggi tentano d’imporre ad un certo mondo culturale. Meccanismo pericoloso e fuorviante, deleterio e dannoso per la Tradizione Romana, che non riguarda lo scritto di Barbera fin qui commentato, il quale ha, eventualmente, il merito di far emergere questo argomento non secondario.

I grandi iniziati ai quali fa riferimento Barbera, sono tutti personaggi del mondo miriamico-kremmerziano. Uso una definizione esterna, che spero aiuti a comprendere l’ambito nel quale si collocano tali persone, che probabilmente definiscono se stessi in altro modo, cosa che io non potrei sapere. Per dirla senza girare troppo attorno alla questione, si tratta di persone od opere riferibili a Piero Fenili, Pier Luca Pierini, e/o altre persone legate agli stessi ambienti. Tutti seguaci di un percorso basato (principalmente) sull’opera e sugli scritti di Giuliano Kremmerz, espressione della scuola alessandrino-partenopea di ispirazione (o tradizione tramandata) egizio-caldea.

La prima considerazione da fare è la seguente: crede Barbera di fortificare le sue credenziali utilizzando formule così semplicistiche ed autoreferenziali: noi siamo bravi perchè riconosciuti dai più grandi iniziati italiani, gli altri no (per tanti motivi) perchè questo riconoscimento non l’hanno ricevuto? Ogni albero dovrebbe essere giudicato dai frutti, ed a poco vale citare il lignaggio di chi piantò il seme o si dedicò alla potatura. Non è sufficiente farsi giudicare, oltre che considerare se stessi, per quel che si fa e per come si fa, senza la necessità di appoggi esterni, peraltro sconosciuti ed ingiudicabili?

Quanto alla definizione di “più grandi iniziati italiani”, ebbene, appare inadatta a sostenere sè stessi e la propria qualificazione. Io sono bravo perchè riconosciuto dai “più grandi iniziati italiani” suona forzato. Chi sono costoro, chi stabilisce che sono i più grandi iniziati italiani, come si può parlare così orizzontalmente di qualcosa che quasi tutti i lettori ignorano? Certi “riconoscimenti”, senza volerne confutare il valore (nè tanto meno darlo per scontato), hanno senso solo se tenuti per sè, custoditi ed utilizzati come sprone o come verifica del buon lavoro svolto. Efficaci od effimeri, non andrebbero agitati in faccia ad avversari del momento, in un attimo polemico, o imposti come se fossero dei “titoli di studio”. Anche perchè, se è vero che la maggioranza delle persone ignora l’identità ed il profilo di queste persone, esiste anche una minoranza che ne conosce l’esistenza ma che sulla definizione di “più grandi iniziati” avrebbe qualcosa da ridire.

Eppoi, volendo entrare nel merito, così come personalmente abbiamo più volte fatto con Giuseppe Barbera, cosa c’entrano questi personaggi con la Tradizione Romana? Che una associazione religiosa e culturale romana, dedita al Mos Maiorum, possa sentirsi legittimata o anche soltanto gratificata da esponenti di una scuola miriamica appare contraddittorio, incompatibile, divergente rispetto agli indirizzi della nostra Religio Patrum. La quale credo possa fare a meno di “ermetisti” ed “iniziati” a-religiosi, o, come in alcuni casi tra quellei citati, cristiani.

La Tradizione italico-romana, così come conservatasi invisibilmente fino ai giorni nostri, riemersa prima e dopo la seconda guerra mondiale, segue un percorso indipendente, a volte in contrapposizione, rispetto a scuole cosiddette ermetiche (che sono cosa ben diversa rispetto a Tradizione e Religione) che finiscono, prima o poi, per esprimere forme di cristianesimo, o peggio, di ebraismo. Tra i cosiddetti “più grandi iniziati d’Italia” vi è chi sostiene, a voce ed anche per iscritto, che Giove e Geova siano la stessa entità. Il Padre Celeste confuso con un demone desertico distruttore ed assetato di sangue. Una pseudo-verità ammantata da un mal interpretato neo-platonismo, per la quale uno spirito etnico sub-lunare viene confuso col Dieu Pitar.

Personalmente, rilevando le carenze conoscitive essenziali per parlare di conoscenza superiore, o misteri, non credo che costoro siano i più importanti iniziati italiani, dubitando persino della definizione di iniziati per chi, mi consta personalmente, non mi ha dato l’impressione di aver percepito l’essenza del Rito, il significato stesso della dimensione rituale. Naturalmente questa è solo la mia semplice opinione, che vale quel che vale (per alcuni anche nulla, è normale che sia così). Allo stesso modo, la definizione di “più grandi iniziati” rimane un’opinione, ed anche coloro i quali ti seguono, più o meno direttamente, devono prenderla per tale, non essendoci, nel mondo romano, forme dogmatiche e di fede alle quali aderire senza nemmeno esercitare il proprio intuito.

Con alcuni di essi questo chiarimento/scontro, frutto di una diversità sostanziale di percorso e prospettive, sfociò in una separazione con i fondatori del mio Ordine. Costoro proseguirono il loro cammino kremmerziano e cristiano, i nostri anziani si dedicarono alla ripresa visibile dell’azione rituale romana, dando il via, auspice e testimone Julius Evola, al Tradizionalismo romano del dopoguerra, che fortunatamente, ininterrotto, si muove nella realtà anche nei giorni nostri, anche senza autorizzazioni e riconoscimenti istituzionali.

Concludendo, tocco un aspetto, anch’esso già trattato nelle nostre piacevoli conversazioni, da te rimarcato nello scritto de quo. Tu, giustamente, apprezzabilmente, cerchi di collocare ogni azione in un ambito etico. Solo per citare qualche aggettivo, scrivi di persone che amano, buone, pie e coraggiose, e, per la stessa prospettiva, di persone con atteggiamenti moralmente piccoli, di denigratori ed invidiosi.

Condivido il principio che ti anima e che ti spinge a preferire chi si distingue, chi si eleva moralmente rispetto a chi è capace di bassezze, però ti sottolineo che questo principio, per essere genuino, deve essere esercitato in assoluto, senza distinzioni, senza convenienze o alleanze tattiche ed utilitaristiche.

Tu scrivi sulle colonne di “Ereticamente”, una rivista telematica che vede il suo principale animatore in Luca Valentini, con il quale agisci sempre più in maniera simbiotica, così come si evince nell’ultimo episodio, nel quale Ereticamente ti ha supportato con grande velocità, peraltro solidarizzando con te ed esprimendo consuetudine e vicinanza.
Eppure tu sai bene che Valentini è un calunniatore, un diffamatore, uno spargitore di zizzania e veleno perennemente in servizio. Uno che inventa storie, cercando di sporcare l’immagine di persone perbene, figlie di persone perbene, che assistono con pena da anni alla sporca campagna diffamatoria che Valentini porta avanti contro chiunque non si metta sotto il suo ombrello di aspirante “direttore generale” del tradizionalismo sincretico e neo-esoterista. Lo sai bene perchè ne abbiamo parlato tante volte e tante volte hai avuto riscontri.

Per cui, ti chiedo: condivido la severità morale, la centratura etica delle tue riflessioni, e proprio per questo mi chiedo perchè identica severità di giudizio emerga in te a volte così veemente, altre volte per nulla, arrivando fin al punto di affiancarsi, collaborare ed interagire con personaggi antitetici ai principi di Onore e Virtù, divinità incarnanti aspetti essenziali per un romano.

Null’altro aggiungo in questa sede, salutando Giuseppe Barbera con cordialità e con la stima di sempre, sperando che la sostanza emersa in questo scritto, quella che riguarda le idee e non le questioni personali, possa contribuire, piccolissimo affluente tra mille, al fiume della riemersione ed affermazione sacrale romana.

Valete Optime in Pace Deorum.

Francesco Di Marte.

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